“Quel che deve illuminare deve accettare di dover bruciare.”
(Viktor E. Frankl)

Locandina italiana

Questa è la storia di un sogno infranto, ucciso sul punto di diventare realtà, che seppur non sia riuscito a materializzarsi in questo mondo fisico, è rimasto sospeso nell’Iperuranio influenzando molti altri sogni a venire giunti dopo di lui.
Alejandro Jodorowsky, poliedrico artista cileno, all’inizio degli anni ’70 aveva raggiunto fama internazionale nel cinema con appena tre film, diventati presto oggetto di culto, e dopo il successo de La Montagna Sacra il produttore francese Michel Seydoux lo aveva invitato a Parigi – dove vive tuttora – per realizzare in totale libertà un nuovo progetto.
L’ambizione a un’idea alta di un Cinema capace di rappresentare quasi un’esperienza mistica, in grado di cambiare le percezioni ampliandole oltre il tangibile, spinsero Jodorowsky a scegliere d’istinto, senza averlo letto e fidandosi dell’entusiasmo di un amico, la versione cinematografica di Dune, il romanzo di Frank Herbert pubblicato nel 1965, diventato in poco tempo una vera e propria Bibbia della fantascienza.
Il documentario Jodorowsky’s Dune diretto da Frank Pavich, presentato a Cannes e finalmente in arrivo nelle sale italiane dal prossimo 6 settembre, ricostruisce tutto il lavoro preliminare, per creare una visione portata a termine purtroppo solo sulla carta, fermata al punto in cui sarebbe dovuta partire la lavorazione con la costruzione del set e l’inizio delle riprese.

 

Alejandro Jodorowsky / Una nave pirata colpita con la Spezia che si disperde nello spazio in una tavola di Chris Foss

Qual è lo scopo della vita – s’interroga Jodorowsky davanti alla macchina da presa che accarezza gli effetti personali di una vita – se non quello di crearsi un’anima?” Il Cinema come strumento di ricerca dell’anima, con questa missione in testa il cineasta si è messo in cerca dei suoi “guerrieri spirituali” per compiere l’impresa Dune. Grande affabulatore, Alejandro racconta fortunate coincidenze nell’entrare in contatto – in un’epoca senza internet – con gli artisti che voleva coinvolgere, davvero impressionante: Salvator Dalì avrebbe dovuto essere il folle imperatore dell’universo, Orson Welles il barone Harkonnen, David Carradine il duca Leto e il figlio del regista Brontis si è sottoposto all’età di dodici anni a un duro allenamento di arti marziali per essere il protagonista Paul, figura messianica al centro della storia.
Anche sul fronte degli apporti tecnici Alejandro Jodorowsky ha saputo riunire una squadra di enorme talento, sconosciuti all’epoca, come Dan O’Bannon e H.R.Giger che insieme creeranno il temibile Alien di Ridley Scott, ma anche affermati come i Pink Floyd ingaggiati per la colonna sonora.

Mick Jagger contattato per il ruolo di Feyd-Rautha / Il barone Harkonnen disegnato da Moebius / Orson Welles doveva essere il barone Harkonnen / Amanda Lear con Salvator Dalì scritturato per vestire i panni dell’imperatore dell’universo / Il bar dell’Hotel St Regis di New York – teatro del primo incontro tra Dalì e Jodorowsky – con il dipinto di Maxfield Parrish che Dalì ha definito con ironico apprezzamento: “Sei metri di pittura dedicata a un peto!” / David Carradine, il duca Leto, e il regista

La gran quantità di materiale preparatorio prodotta è stata raccolta in un volume con il quale regista e produttori hanno fatto il giro degli studios in California per ottenere i finanziamenti necessari:
Paramount, Metro Goldwyn Mayer, 20th Century Fox, Universal Pictures, Warner Brothers e persino Walt Disney Pictures ebbero parole di lode per il lavoro svolto, ma rifiutarono tutti di aderire al progetto. I contabili di Hollywood, poco lungimiranti e incapaci di rapportarsi a un’idea così originale, non erano in grado di valutare qualcosa di così rivoluzionario.
Jodorowsky si è spinto talmente avanti da anticipare cose che George Lucas avrebbe sperimentato, forte del successo di Guerre Stellari giunto due anni dopo il naufragio del progetto Dune, solo decenni più tardi nei film successivi della saga; ma anche se il sogno del cineasta cileno non ha mai raggiunto lo schermo, incredibilmente il suo lavoro ha influenzato grandi film che gli sono debitori. Il volume del progetto circola a Hollywood e i riferimenti sono troppo precisi per poter credere a una casualità: Dune doveva iniziare con un piano sequenza continuo dai confini dell’universo, ispirato alla scena d’apertura de L’infernale Quinlan di Orson Welles, lo stesso che ritroviamo diversi anni dopo in Contact di Robert Zemeckis.

Alejandro Jodorowsky nella sua casa parigina col prezioso volume / Il produttore Michel Seydoux / Il produttore associato Jean-Paul Gibon / Il pittore scultore H.R.Giger / Amanda Lear intervistata come musa e compagna di Salvator Dalì / Gary Kurtz produttore di Guerre Stellari / Il regista Nicolas Winding Refn

Ma gli esempi nel film di Frank Pavich si sprecano e chiamano in causa titoli di primo piano come I predatori dell’Arca perduta di Steven Spielberg, Blade Runner di Ridley Scott, Matrix delle sorelle Wachowski e persino lo stesso Guerre Stellari di George Lucas.
Una ferita ancora aperta per Jodorowsky, nonostante molto del suo Dune sia confluito nella saga a fumetti dell’Incal realizzata poi insieme a Moebius. Vedere il bellissimo documentario Jodorowsky’s Dune finalmente in Italia con tanto ritardo, rappresenta un’interessante visione in attesa della nuova versione di Dune diretta dal canadese Denis Villeneuve in arrivo a metà settembre, nella speranza che non sia una delusione come quella prodotta da Dino De Laurentis nel 1984 e diretta da David Lynch.

 

 

 

 

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SCHEDA FILM
Titolo originale: Jodorowsky’s Dune
Regia: Frank Pavich
Con: Alejandro Jodorowsky, Michel Seydoux, Chriss Foss, H.R.Giger, Jean-Paul Gibon, Brontis
Jodorowsky, Amanda Lear, Christian Vander, Devin Faraci, Diane O’Bannon, Drew Mc Weeny, Gary
Kurtz, Jean-Pierre Vignau, Nicolas Winding Refn, Richard Stanley
Fotografia: David Cavallo
Musica: Kurt Stenzel
Montaggio: Alex Ricciardi, Paul Docherty
Animazioni: Syd Garon
Animazioni 3D: Paul Griswold
Produzione: Frank Pavich, Stephen Scarlata e Travis Stevens con Michel Seydoux e Alex Ricciardi per
City Film e Snowfort Pictures in coproduzione con Camera One/Michel Seydoux e in associazione con Endless Picnic
Genere: Documentario
Origine: USA / Francia, 2013
Durata: 90’ minuti